La parlata ci unisce ancora

Processione a Plostine, 1925

La storia

L'arrivo degli Italiani in Slavonia
 

L'arrivo della popolazione italiana nelle zone di Pakrac e di Lipik, ma anche nelle altre zone dell'impero Austro – Ungarico, faceva parte di un quadro più vasto di emigrazioni che caratterizzavano l'Europa all'inizio dell'Ottocento e divennero ancora più frequenti dopo il 1866, l'anno dell'unità d'Italia.1 Secondo Giuseppe De Vecchi, un uomo verso la seconda metà dell' Ottocento scopre questa terra nel suo vagabondare in cerca di lavoro; un giovane di leva al tempo del Lombardo-Veneto è mandato dal Kaiser a far servizio militare qui in Slavonia. Tornati nella valle del Piave, parlavano degli immensi boschi di faggi e di roveri. Hanno sentito che i proprietari di grossi terreni cercavano la manodopera per abbattere i boschi ed erano disposti ad accogliere lavoratori, anche immigrati con le loro famiglie e vendergli i terreni sulle pendici dei colli. I racconti dei due volavano da Dogna a Provagna, a Igne, Longarone, Castellavazzo, fin su a Casso e più in là nel Friuli. La gente ascoltava, pensava. Nella loro vallata i campi erano duri e magri, l'erba poca, tanti sassi, mancanza del sole. Nei racconti dei due invece gli alberi erano così grossi che neanche tre uomini, mano a mano, non riuscivano a circondarli. La terra era profonda, vergine, ed innanzi tutto c'era un sole, un sole splendido. Volendo far diventare i racconti sentiti, reali, decisero di partire per un paese sconosciuto. Uomini e donne, giovani e bambini, a piedi, col carretto a mano, un vecchio con la sua Bibbia e un fanale con la candela. Ceppi di intere famiglie partirono con tutto quello che avevano.

Quando arrivano in Slavonia, la trovano assai diversa dalle loro terre d'origine. Parla Umberto Manarin: „Mio nonno Gervasio mi raccontava che sono venuti a piedi in Slavonia con un carretto a due ruote e che lui è partito quando aveva undici anni nel 1876/77.“ 2   I primi tempi non sono per niente facili. Si mettono subito a lavoro, devono infatti lavorare sodo per poter' riscattare il lembo di terra che hanno comprato. Qualcuno vuole anche tornare indietro, ma non ha più soldi e neanche la possibilità. Altri denunciano i nobili proprietari accusandoli di averli truffati. Nessuno risponde al loro grido di aiuto, nemmeno l'Italia, troppo occupata a risolvere i problemi privati. Si sentono soli ed abbandonati, non conoscono la lingua del posto.

Hanno usato la terra come il materiale per la costruzione delle case. La terra diventava mattone. Le case erano di terra battuta e coperte di paglia al tempo della Prima Guerra Mondiale. Ancor' oggi, a Plostine, si possono trovare alcuni esempi di queste case che sono a tutt'oggi utilizzate. Racconta Albert Menegon: „Noi facevamo i mattoni a mano in uno stampo di legno: pestavamo la malta con i piedi per mescolarla; la malta era composta d’argilla e d'acqua. C'era poi il cariolista cioè quello che trasportava la malta con la carriola. Il più complicato era il mestiere dello stampatore, che era il capo; lui sapeva mettere lo stampo nel modo correto: prendeva la giusta quantità di composto e glielo metteva sopra. A Campo del Capitano e a Plostine si può ancora vedere quanta terra è stata asportata per far mattoni e ogni casa ha le sue cave che fungevano da fornace...“ 3

La loro forza era l'unione. I problemi di uno erano i problemi di tutti. C'era una festa, tutto il paese era là; c'era un funerale, il paese era presente; c'era una disgrazia, un dolore, il paese partecipava.

Nel millenovecento il paese aveva già una sua fisionomia e prendeva un nome ungherese: Khuenovo selo. Non vi erano scuole, la maggioranza era analfabeta. Per mancanza di conoscenza della lingua croata erano rari contatti con il resto della popolazione croata. Tale isolamento aveva contribuito al mantenimento perenne delle usanze e delle tradizioni portate dall'Italia. Alla fine dell'Ottocento e all'inizio del Novecento a Pakrac si costruivano le prime fabbriche, la sagheria ed il mattonificio, officine artigianali, mentre Lipik viveva una fioritura medicinale e turistica. I contemporanei hanno chiamato il periodo tra 1895 e 1914 „l'età d'oro di Lipik.“ Ad ogni modo, si doveva sempre lavorare duramente. Dice Stevo Arland: „I nostri hanno sempre lavorato: giorno e notte, estate e inverno e non hanno mai fatto politica perché per fare politica bisognava sedersi.“ 4

 Dal 1925 al 1930 si è svolta la prima fase di emigrazione, cioè la partenza della popolazione italiana in America, per motivi di lavoro. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, gli abitanti di Plostine continuano la loro vita con tranquillità e con le loro occupazioni. In tutti i villaggi dove c'era la scuola nel 1946/47 venivano organizzati corsi per analfabeti e corsi di educazione elementare. I bambini continuano ad iscriversi in prima classe elementare senza conoscere una sola parola croata. Cento cinquanta  uomini sono stati mobilitati per la fabbricazione di mattoni in mattonifici rurali. Tutti i lavori domestici ed agricoli sono stati assunti dalle donne. Nonostante certi cambiamenti la vita continua ad essere dura. Gli anni '70 e l'inizio degli anni '80 del secolo scorso erano gli anni in cui il tenore di vita aveva raggiunto i traguardi più alti. Tuttavia, Plostine ha subìto la sorte comune a tutti i vilaggi di campagna nella zona di Pakrac, i giovani lasciano il paese. Le strade asfaltate, la corrente elettrica, la vita sociale non erano più sufficienti a trattenere i giovani. Cominciano ad abbandonare la campagna, si spostano verso i centri industriali di Pakrac, Lipik, Kutina e Zagabria e più tardi anche in Italia, per motivi di lavoro. Nonostante il fatto che durante la guerra civile Plostine non viene toccata dai bombardamenti, la maggioranza delle persone scappa. Siccome i giovani vanno via da Plostine in cerca di una vita migliore, rimane solo la popolazione anziana. Tutti conoscono la lingua croata ma conservano le loro radici e parlano in lingua italiana, ovvero il dialetto chiamato bellunese. Certe volte lo usano anche con la lingua croata. Benchè qui la tradizione è più forte degli anni, esiste il rischio che il paese scompaia per sempre e con esso anche il dialetto bellunese.

 

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1 Kliček D., Italiani in Slavonia dal 1880 al 2005, Città di Lipik e Comunità degli Italiani Lipik,  Lipik 2002, p.27
2 Brustolin M., Italiani o Croati, Tipolitografia Editoria DBS, Belluno 1997, p. 3
3 Brustolin M., Italiani o Croati, Tipolitografia Editoria DBS, Belluno 1997, p. 36
4 Brustolin M., Italiani o Croati, Tipolitografia Editoria DBS, Belluno 1997, p. 42